Omaggio a Severino Il filosofo aveva 91 anni. \"Un maestro del dialogo come via per giungere alla verità\"
Omaggio al filosofo bresciano. Pubblichiamo l\’articolo di Ilario Bertoletti, direttore editoriale della Morcelliana (e assiduo frequentatore di Nuova Libreria Rinascita), uscito mercoledì 22 gennaio sulle pagine del Corriere della Sera Brescia.
qui l\’articolo.
Se ne è andato con la discrezione e signorilità che umanamente lo caratterizzavano. Emanuele Severino è morto il 17 gennaio, a poche settimane dai 91 anni. Con calma si ritornerà sul suo posto nella filosofia contemporanea — un posto da magister implacabilis, come lo si definiva per il rigore logico e l’acutezza teoretica. Ci soffermeremo qui sul suo rapporto con Brescia: gli studi all’Arici, l’insegnamento negli anni ‘60 alla Facoltà di Magistero della Cattolica. Il suo rapporto con le editrici bresciane: l’editore Vannini, per il quale scrive la sua prima opera (1950) sul «Problematicismo» italiano e su «Heideggeriani e la metafisica».
L’editrice La Scuola, con la quale edita nel 1958 «La struttura originaria», imponendosi all’attenzione della comunità scientifica, e le edizioni commentate alla «Metafisica» e alla «Fisica» di Aristotele, che hanno formato generazioni di studenti. La Paideia, per i cui tipi pubblica nei primi anni Settanta «Essenza del Nichilismo», dove erano raccolti gli scritti che per la loro radicalità — con l’affermazione di un «Ritorno a Parmenide» e dell’eternità di ogni ente, fosse anche il più infimo — avevano portato all’allontanamento dalla Chiesa cattolica. Ma Severino ha avuto per Brescia anche un ruolo civile: appena dopo la strage di Piazza della Loggia, scrisse per Bresciaoggi un articolo di disincantato realismo dove mostrava le radici neofasciste della strage. Un articolo lungimirante (ripubblicato con nuovo materiale nel libro «Piazza della Loggia» dalla Morcelliana), con il quale Severino iniziò la sua lunga collaborazione con i quotidiani, culminati nella pluridecennale presenza sul Corriere della Sera. A partire dagli anni Novanta la presenza in città di Severino fu soprattutto attraverso affollatissime conferenze in Loggia, al teatro San Carlino. Negli ultimi anni, lui che era un autore di successo di Adelphi, aveva deciso di riprendere a pubblicare per le editrici bresciane: con la Scuola, l’edizione anastatica di «La Struttura originaria» e un libro intervista con Sara Bignotti su «Educare al pensiero».
Con la Morcelliana, editando varie opere più volte ristampate, fino al dialogo con il maestro Gustavo Bontadini sul tema dell’«Essere e dell’apparire», che resta una delle più importanti dispute della filosofia contemporanea.
Il rapporto con Brescia è stato anche una costellazione di amicizie, innanzitutto con Bruno Boni, del quale Severino ammirava le capacità politiche e lo strenuo studio.
Altrettanto importante era l’affetto per don Enzo Giammancheri, interlocutore di lungo corso nelle discussioni su San Tommaso. Per finire con colui che è stato probabilmente il più acuto dei suoi fedeli, Italo Valent, scomparso prematuramente e del quale Severino ricordava la finezza speculativa. Non senza dimenticare la devozione che aveva, lui che era musicista in proprio, per Arturo Benedetti Michelangeli.
Severino entra di diritto nella storia della filosofia per la cosa stessa del suo pensiero — l’eternità di ogni ente e il conseguente nichilismo della tradizione occidentale che ammette il divenire come passaggio dal non essere all’essere — e per la rigorizzazione del concetto di confutazione (élenchos).
Pensare significa confutare l’opposto di quel che si vuole affermare. E Severino ha scavato nei suoi libri sui tanti significati e sulla struttura profonda del «pensare in quanto confutare», aprendo nuovi sentieri nel campo della logica, tutti da esplorare per le conseguenze su una categoria come quella di «contraddizione». Severino ha avuto nel dibattito pubblico italiano una duplice funzione: da un lato ha con costanza mostrato il destino socialdemocratico del partito comunista, in forza delle aporie intrinseche al marxismo. Dall’altro è stato un esempio di cosa significa dialogare: discuteva con tutti coloro che si ponevano in ricerca del vero, quale che fosse oggetto: dal cattolicesimo alle questioni di bioetica. A una condizione: essere intransigenti nel superare le proprie inconsapevoli contraddizioni e quelle degli interlocutori.
Uno stile e un rigore che sono il «possesso per sempre» di Severino, Il quale, accogliendo amici e allievi nel suo salotto, amava, dopo uno squisito caffè, invitare gli interlocutori ad »argomentare ancora». Un «ancora» che è l’avverbio dell’eterno per chi ha a cuore la filosofia.