Quanto è diverso il diverso? Angelo Villa, L’origine negata. La soggettività e il Corano, Mimesis 2018 (pp. 142, euro 14)
Sapersi confrontare con il diverso, accoglierlo nella sua diversità sono disposizioni che, più o meno implicitamente, implicano l’esigenza di sapere quanto il diverso è tale, come e in che cosa, sapendo bene che è proprio in questa esigenza, in sé legittima ma bisognosa di essere portata alla luce senza ambiguità, che trovano terreno fertile pregiudizi, fantasmi identitari, notizie nella maggior parte dei casi approssimative e parziali.
Nella nostra cultura, la cultura occidentale, il tema della soggettività occupa un posto centrale, e questo tema è ormai inscindibile dalle concezioni introdotte da Freud e dalle elaborazioni successivamente fornite dalla psicoanalisi.
Confrontarsi con la diversità – psicologica, culturale, religiosa, antropologica – significa innanzitutto, per noi, considerare la differenza di atteggiamenti rispetto alla soggettività intesa come rivendicazione della soggettività stessa, di quella realtà “intimamente connessa con quello che un singolo individuo umano è o ritiene di essere”. Una soggettività frutto di interpretazione, quindi, ma di un’interpretazione che non può dimenticare di essere sempre condizionata dal fatto che l’“Io non è padrone in casa propria” e la sua intenzionalità è in buona parte rimossa: è piuttosto l’inconscio ad esprimere, nei modi che gli sono propri, “una tensione che anela alla ricerca di una verità, non appagandosi delle menzogne – difese, coperture, ideologizzazioni – che l’Io subdolamente gli propina” e smascherando impietosamente l’illusione dell’esistenza di un “soggetto consistente, presente e identico a sé”.
Concentrando l’attenzione sulla cultura – sulle culture – “di matrice islamica”, l’autore segnala due circostanze decisive: in primo luogo, la soggettività appare in quest’ambito “un tema poco frequentato”, soprattutto – occorre aggiungere – se a prevalere è, come in effetti pare sia oggi, una lettura dogmatica, ostile a un atteggiamento di interpretazione del Corano. Testo che, comunque, risulta caratterizzato da aporie e contraddizioni che lasciano adito alla visione di un dio che non ammette dialogo con l’uomo, e ad una realtà in cui questioni come quelle della paternità, della femminilità e più in generale della sessualità risultano rigidamente definite, una volta per tutte normate, e per molti aspetti non univocamente tematizzate. Senza che, sull’onda di simili constatazioni, si debba disconoscere la presenza, in questo testo “polisemico”, di passaggi che sembrano aprire a concezioni diverse e porsi con esse in un rapporto di compatibilità.
In secondo luogo, l’inconscio, luogo delle storie che hanno accolto e accompagnato il soggetto dall’inizio della sua esistenza nel mondo, è attraversato dai discorsi, dai desideri, dalle storie degli altri, dei familiari innanzitutto, e più in generale dalla cultura e dalla lingua che definiscono il contesto in cui il soggetto si è venuto a trovare. E il religioso, il tradizionale – nella loro accezione islamica non diversamente che in altre – possono risultare ostacoli al lavoro di analisi e di comprensione della realtà dell’individuo quanto “lo scientismo o la superficialità contemporanea”.
Non si tratta di postulare un’astorica e immutabile realtà umana, indifferente ai caratteri culturali e religiosi nei quali si declina, ma di riconoscere come sia proprio dell’umano interrogarsi circa gli “enigmi che assillano la vita di [ogni] individuo nel suo impatto con l’esistenza, con il trauma rappresentato dalla sessualità”: “ciascun essere umano è erede della propria storia, la quale è inevitabilmente marcata dalla cultura d’appartenenza. La questione riguarda meno la suddetta cultura che non la relazione che il singolo realizza o permette sussista tra la stessa e il prender forma di un percorso di rilettura della medesima.”
Attorno a queste assunzioni di fondo si dipanano analisi e considerazioni storiche e filosofiche che mettono in relazione la religione musulmana con quelle ebraica e cristiana, oltre che ampie digressioni in ambito psicoanalitico che spaziano dal pensiero di Freud a quello di Lacan. Nella consapevolezza che, se sono “semplificazioni” quelle degli islamisti che piegano la loro religione a un’“idéologie de combat”, altrettanto lo sono i “pregiudizi occidentali rispetto all’Islam”: tutti, nel tempo della mondializzazione, siamo “colti di sorpresa ed egualmente impreparati” davanti ai fenomeni inediti e spesso traumatici che, in misura e secondo prospettive diverse, viviamo, ma a tutti si offre la possibilità, anch’essa inedita, della “concretezza di uno scambio” nel quale si fanno “più permeabili le barriere” fra culture diverse e, nello specifico, fra “il sapere freudiano” e la religione musulmana.
Nella nostra cultura, la cultura occidentale, il tema della soggettività occupa un posto centrale, e questo tema è ormai inscindibile dalle concezioni introdotte da Freud e dalle elaborazioni successivamente fornite dalla psicoanalisi.
Confrontarsi con la diversità – psicologica, culturale, religiosa, antropologica – significa innanzitutto, per noi, considerare la differenza di atteggiamenti rispetto alla soggettività intesa come rivendicazione della soggettività stessa, di quella realtà “intimamente connessa con quello che un singolo individuo umano è o ritiene di essere”. Una soggettività frutto di interpretazione, quindi, ma di un’interpretazione che non può dimenticare di essere sempre condizionata dal fatto che l’“Io non è padrone in casa propria” e la sua intenzionalità è in buona parte rimossa: è piuttosto l’inconscio ad esprimere, nei modi che gli sono propri, “una tensione che anela alla ricerca di una verità, non appagandosi delle menzogne – difese, coperture, ideologizzazioni – che l’Io subdolamente gli propina” e smascherando impietosamente l’illusione dell’esistenza di un “soggetto consistente, presente e identico a sé”.
Concentrando l’attenzione sulla cultura – sulle culture – “di matrice islamica”, l’autore segnala due circostanze decisive: in primo luogo, la soggettività appare in quest’ambito “un tema poco frequentato”, soprattutto – occorre aggiungere – se a prevalere è, come in effetti pare sia oggi, una lettura dogmatica, ostile a un atteggiamento di interpretazione del Corano. Testo che, comunque, risulta caratterizzato da aporie e contraddizioni che lasciano adito alla visione di un dio che non ammette dialogo con l’uomo, e ad una realtà in cui questioni come quelle della paternità, della femminilità e più in generale della sessualità risultano rigidamente definite, una volta per tutte normate, e per molti aspetti non univocamente tematizzate. Senza che, sull’onda di simili constatazioni, si debba disconoscere la presenza, in questo testo “polisemico”, di passaggi che sembrano aprire a concezioni diverse e porsi con esse in un rapporto di compatibilità.
In secondo luogo, l’inconscio, luogo delle storie che hanno accolto e accompagnato il soggetto dall’inizio della sua esistenza nel mondo, è attraversato dai discorsi, dai desideri, dalle storie degli altri, dei familiari innanzitutto, e più in generale dalla cultura e dalla lingua che definiscono il contesto in cui il soggetto si è venuto a trovare. E il religioso, il tradizionale – nella loro accezione islamica non diversamente che in altre – possono risultare ostacoli al lavoro di analisi e di comprensione della realtà dell’individuo quanto “lo scientismo o la superficialità contemporanea”.
Non si tratta di postulare un’astorica e immutabile realtà umana, indifferente ai caratteri culturali e religiosi nei quali si declina, ma di riconoscere come sia proprio dell’umano interrogarsi circa gli “enigmi che assillano la vita di [ogni] individuo nel suo impatto con l’esistenza, con il trauma rappresentato dalla sessualità”: “ciascun essere umano è erede della propria storia, la quale è inevitabilmente marcata dalla cultura d’appartenenza. La questione riguarda meno la suddetta cultura che non la relazione che il singolo realizza o permette sussista tra la stessa e il prender forma di un percorso di rilettura della medesima.”
Attorno a queste assunzioni di fondo si dipanano analisi e considerazioni storiche e filosofiche che mettono in relazione la religione musulmana con quelle ebraica e cristiana, oltre che ampie digressioni in ambito psicoanalitico che spaziano dal pensiero di Freud a quello di Lacan. Nella consapevolezza che, se sono “semplificazioni” quelle degli islamisti che piegano la loro religione a un’“idéologie de combat”, altrettanto lo sono i “pregiudizi occidentali rispetto all’Islam”: tutti, nel tempo della mondializzazione, siamo “colti di sorpresa ed egualmente impreparati” davanti ai fenomeni inediti e spesso traumatici che, in misura e secondo prospettive diverse, viviamo, ma a tutti si offre la possibilità, anch’essa inedita, della “concretezza di uno scambio” nel quale si fanno “più permeabili le barriere” fra culture diverse e, nello specifico, fra “il sapere freudiano” e la religione musulmana.