Dostoevskij sanguina ancora Paolo Nori, Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Mondadori 2021 (pp. 288, euro 18,50)
“Sanguina ancora”: che cosa? La ferita aperta da un libro, Delitto e castigo, “quel libro pubblicato centododici anni prima a tremila chilometri di distanza”. E perché, sanguina? Perché, “in un certo senso” a lui, l’autore, piace sanguinare: “nel senso che viviamo, mi sembra, in un tempo in cui valgono salo le vittorie e i vincenti, un tempo in cui il participio presente perdente non indica una condizione temporanea, è un’offesa, in un tempo in cui, se ti chiedono ‘Come stai?’ (e te lo chiedono, continuamente), devi rispondere ‘Benissimo!’ col punto esclamativo, in un tempo in cui devi nascondere le tue ferite e i tuoi dispiaceri, come se tu non fossi fatto di quelle, e di quelli”. Eccolo qui, Nori. Il Nori che conosciamo meglio, quello delle Parole senza le cose (Laterza 2016) e di Undici treni (Marcos y Marcos 2017). Ma, in questo libro, a scrivere è soprattutto il Nori studioso di letteratura russa, lo stesso che un paio danni fa ha proposto un “viaggio sentimentale” con La grande Russia portatile (Utet 2019) e l’anno prima, offrendoci un “corso sintetico di letteratura russa”, ci ha informato che I russi sono matti (Salani 2018).
Il professor Nori dunque, che però non rinuncia al suo periodare svagato: “Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, o Ricordi del sottosuolo, o Appunti dal sottosuolo, anche questa storia dei titoli, un volta ho visto un romanzo di Dostoevskij che si intitolava Gli indemoniati, ‘Vacca’ ho pensato, ‘un inedito’, invece era I demòni che gli avevan cambiato titolo”.
Certo, per leggerlo, “questo libro che crede di essere un romanzo”, è bene amare Dostoevskij, perché “quelli a cui Dostoevskij non piace, questo libro non vorranno sapere neanche com’è pitturato”. Non importa se la sua stesura “ha occupato un periodo, nella mia vita, e nella vita dei miei contemporanei, che sarà ricordato come il periodo del Coronavirus, o della pandemia”, quando “c’era sempre quella specie di isolamento che, nella nuova lingua italiana, si è chiamato lockdown”.
E comunque, anche chi non ama Dostoevskij, se scorre queste pagine non può non convincersi della sua grandezza. Perché “Dostoevskij, fin dall’inizio, scrive di cose che si fa fatica non solo a scriverle, anche a nominarle, e non solo a nominarle. Anche a pensarle. I bambini, per esempio, quando muoiono”. Ma attenzione, non si deve credere che “si debba far fatica, che ci voglia il tempo di studiarlo, Dostoevskij, di meditarlo”: “Non è complicato, Dostoevskij, non è una cosa da intellettuali”, e tantomeno è “triviale”, come pretendeva Nabokov (vedi le sue Lezioni di letteratura russa appena pubblicate da Adelphi). O meglio: “è anche triviale (come le nostre giornate). E è anche da intellettuali, ma è anche uno scrittore che si legge con la passione con la quale avete letto Dumas quando avevate quindici anni, se avete letto Dumas quando avevate quindici anni”. Perché in Dostoevskij “c’è una verità che è alla portata di tutti”, “non ci ha svelato un mistero”: “ha fatto quello che fanno gli artisti, ha reso visibile il visibile”. E lo dimostra, Nori, passando in rassegna a modo suo i romanzi del grande russo, e interrompendo questo tormentone sul suo prediletto, magari evocando un altro tormentone, quello su Tolstoj e Dostoevskij: “Ma ti piace più Tolstoj o Dostoevskij?” è la domanda immancabile, i due nomi uniti come quelli di “Stanlio e Ollio, o Gianni e Pintotto, o Ric e Gian, o il babbo e la mamma, come quella domanda lì, ‘Vuoi più bene al babbo o alla mamma?’”
Tolstoj, ma anche Puškin e Gogol’ ci sono in questo libro, e Gončarov con il suo Oblomov, ma è inutile negarlo: Dostoevskij la fa da padrone, anche se “non c’è un libro definitivo, su Dostoevskij, tanto meno questo, devo dire, ma ripercorrere la sua vita incredibile, io credo che sia una cosa che si può fare, se no questo libro cosa l’ho scritto a fare?”
Brescia, 8 settembre 2021
Carlo Simoni
www.secondorizzonte.it