La guerra ai poveri Maurizio Pagliassotti, La guerra invisibile. Un viaggio sul fronte dell’odio contro i migranti, Einaudi 2023 (pp. 240, euro 18)
“In questo libro la pars construens non c’è, c’è solo la realtà”. Questa l’avvertenza al lettore. L’antefatto è il libro dedicato, tre anni fa, ai “naufraghi a 2000 metri di quota”, i migranti che tentano di attraversare le Alpi occidentali per raggiungere la Francia (Ancora dodici chilometri. Migranti in fuga sulla rotta alpina, in queste note nel febbraio 2020). Questa volta, sono quelli che percorrono la rotta dei Balcani i protagonisti di un racconto la cui sostanza non cambia: “Esistono mondi nel nostro mondo che ignoriamo, perché abbiamo avuto il savoir faire di esternalizzare la violenza e la ferocia”, dibattendoci “tra un compassionevole ‘poveretti’ e un preoccupato ‘Ma sono troppi, come facciamo a prenderli tutti. Aiutiamoli a casa loro’”.
Quel che intanto è avvenuto, di fatto, è che “un imponente messaggio fondato sul ‘loro sono il pericolo’ e ‘noi siamo in pericolo’ è diventato egemone in quelle che un tempo venivano definite ‘classi subalterne’”.
L’indignazione morale percorre il discorso ma non offusca la lucidità di giudizi senza appello, non attenua la determinazione a riferire dettagli allucinanti né, soprattutto, soffoca il desiderio di raccontare, anche dei luoghi in cui il contrasto fra turisti e migranti si fa più stridente, come accade al Brennero, dove, “a cento metri dagli uffici delle guardie di confine”, sorge un “gigantesco, fantasmagorico, strabiliante, outlet”: “i due mondi, quello migrante della sopravvivenza e quello nomade del consumo probabilmente ignorano l’esistenza uno dell’altro ma anche qui condividono gli stessi spazi”. Non sono mai storie fuori luogo quelle che l’autore, nel suo percorso a ritroso, da Briançon “verso l’Iran”, propone: è a Trieste, davanti alla stazione ferroviaria, che incontra due volontari, marito e moglie, anziani, che ogni sera lavano e medicano i piedi di chi arriva dai boschi della Slovenia, e per questo sono stati oggetto di denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Perché “medicare i piedi non è solo un gesto di umanità, è un gesto politico molto aggressivo: guardate, paiono dire i due, guardate questo spettacolo osceno, guardate i piedi marci e luridi generati da una gestione dei confini fondata sulla brutalità”. Ma i modi per contrastare l’odio per i migranti possono essere diversi, molto più discreti, come quelli dei “lupi del bene, gente selvatica che non vuole entrare dentro associazioni o ancor peggio organizzazioni”: è il caso di un altro anziano, che il viaggiatore solitario incontra nei boschi della Slovenia, da tempo dedito a un silenzioso, appartato aiuto ai migranti in cammino verso il confine italiano. Quanto a loro, i migranti, sembrano pochi: “immaginavo di incrociare un esodo pronto a invadere l’Europa, ho trovato pochi ragazzi spaventati”.
Ma i segni della loro presenza sono numerosi: capanne rudimentali da poco sgomberate nel folto del bosco, ad esempio, dove passeggini e poveri giocattoli abbandonati parlano dei bambini che qui hanno passato “giornate nascoste e silenziose, infanzie che si schiantano contro il muro di un’Europa allo sbando, che sa e tollera”. L’alternativa a questi accampamenti clandestini sono i “campi di accoglienza”, che “tengono nascosti i protagonisti agli occhi dell’opinione pubblica occidentale che vive immersa – appunto – nella favola dell’accoglienza”. Il che non evita che i volontari delle associazioni che supportano questi campi siano “accusati, velatamente, di strumentalizzare i migranti per fini ideologici”, mentre paesi cuscinetto, come la Bosnia, puntano sulla presenza degli stranieri per ottenere finanziamenti dall’Unione Europea. Il tutto in una situazione, generalizzata, nella quale “i poveri non vogliono altri poveri, i poveri odiano i poveri”, mentre “i ricchi con i sensi di colpa amano i poveri, ma unicamente se stanno a distanza di sicurezza”. É in questa cornice che si collocano le storie di cui è fatto questo libro, anche se ci sono momenti in cui l’autore sembra cadere nell’incertezza: “cosa può cambiare da qui in avanti?”, si chiede quando ha ancora davanti a sé migliaia di chilometri da percorrere. “Troverò qualche storia nuova da raccontare o sarà la ripetizione delle stesse miserie a ogni confine?”. Ma non rinuncia, restando fedele allo scopo che si è dato – “Andare a fondo, vedere tutto, raccontare tutto” –, in questo vicino all’impegno riscontrabile in un altro libro, pure dedicato alla condizione dei migranti: anche Caterina Bonvicini, nel suo Mediterraneo. A bordo delle navi umanitarie (in queste note nella primavera dell’anno scorso), si dichiarava convinta che “i dettagli sono l’unica arma che abbiamo per difenderci. L’unica via per entrare in una tragedia senza accesso e senza testimoni, insondabile”. Tanto opaca e fitta di atrocità e connivenze, solidarietà e silenzi, da far dubitare, anche quando la si è attraversata, di non essere riusciti a darne un’idea compiuta: “Quando sono tornato a casa – confessa l’autore alla fine – mi sono reso conto che non ero in grado di raccontare cosa avevo visto e vissuto. Forse non ci sono riuscito nemmeno in queste pagine (…) perché le storie che ho attraversato sono inesorabilmente lontane”. O meglio, rimosse: “Ho visto la guerra che stiamo combattendo e vincendo contro i migranti, sebbene con grande fatica e sperpero di risorse, per questo ho deciso di chiamarli nemici in queste pagine. Ma ora, al termine di questo racconto (…), qualcosa mi appare più chiaro. L’Italia e l’Europa, mi appaiono (…) lanciate verso un futuro fatto sempre più di rancore mal represso, perché la guerra alla povertà è stata soppiantata dalla guerra ai poveri”.
Brescia, 25 agosto 2023
Carlo Simoni
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