La legge degli uomini e la giustizia delle donne Susan Glaspell, Un giuria di sole donne, Sellerio 2022 (pp. 96, euro 12)
Il testimone, lo sceriffo, il pubblico ministero non hanno dubbi: se un uomo è stato trovato morto nel suo letto strangolato con una corda, l’assassino non può che essere la moglie, che al testimone era apparsa indifferente al fatto; preoccupata, se mai, per i suoi vasi di conserva. Non si tratta dunque che di individuare il movente, di scovarne gli indizi. La moglie dello sceriffo, che ha dovuto seguire il marito sulla scena del crimine per scegliere alcuni effetti personali da far avere all’omicida, ormai in carcere, e ha chiesto in quel difficile frangente la compagnia della consorte del testimone, sembrano non avere opinioni sulla faccenda, si aggirano per la casa facendo le loro osservazioni su particolari minimi: “le donne sono abituate a preoccuparsi per delle bazzecole”, è il giudizio benevolmente supponente degli uomini.
Senonché gli occhi della signora Peters, la moglie dello sceriffo, sempre con “quell’aria così contrita”, “guardavano tutto come se sapessero andare al fondo delle cose”, e dal canto suo la loquace signora Hale, la moglie del testimone, interrompe a volte le sue chiacchiere, “come se i suoi pensieri fossero inciampati in qualcosa”: il tavolo pulito solo a metà, la zuccheriera riempita solo un poco dello zucchero che è rimasto lì vicino, nel suo sacchetto. Piccole cose, non indizi, bazzecole appunto, che però, poco a poco, fanno crescere nelle due signore – senza bisogno che se lo dicano: bastano le occhiate che si scambiano – la sensazione che qualcosa si improvvisamente accaduto impedendo a lei, la moglie del morto, di proseguire come al solito le sue faccende di casa. O di avergliele lasciate riprendere, ma in una condizione alterata: alcune cuciture ad esempio, “tutte così precise – e guardi invece… questa. insomma, è come se non sapesse cosa stava facendo!”
No, non sono sulle tracce di un altro, del vero assassino, le due donne, ma battono – così, senza darlo a vedere, senza esserne consapevoli fino in fondo loro stesse – una pista del tutto diversa da quella degli uomini, del pubblico ministero in particolare, investigatore riconosciuto. Perche loro sanno che “a volte non si capisce davvero come vivono gli altri finché… non succede qualcosa”. E sono la miseria di una vita, la solitudine della presunta omicida, il suo quotidiano duro lavoro mai riconosciuto dal rude e scorbutico marito, a farsi evidenti, ma non si tratta solo della sua condizione: “viviamo così vicine, eppure siamo così lontane. E dobbiamo tutte sopportare le stesse cose… a guardarci non sembra, ma sono le stesse cose!” È sulla base di questa “sorellanza” che le due signore sapranno alla fine leggere inequivocabilmente, in un particolare fra gli altri, la dinamica di ciò che è accaduto. Una dinamica che non ribalta la situazione, ma le assegna un significato, e una valenza, nei termini di ciò che è giusto e di ciò che non lo è, che resteranno preclusi agli uomini, prevedibilmente incapaci, del resto, di comprenderli anche se – cosa che non avviene – ne fossero messi al corrente.
Un racconto, niente più di un racconto, condotto però con quella sapienza narrativa che nella costruzione dell’intreccio sa da un lato dire solo della punta dell’iceberg, tacendo della massa sommersa, fatta degli elementi che precedono e inquadrano la vicenda, e, dall’altro, sa restituire nella loro immediatezza i caratteri dei personaggi: i dialoghi, densi di sfumature, allusioni e sottintesi quando a parlare sono le donne, perentori e a tratti sarcastici quando subentrano gli uomini, riempiono le poche pagine del racconto, non a caso – ci avverte la nota conclusiva – rielaborato dall’autrice da una propria precedente pièce teatrale che si intitolava Trifles, Inezie. Un titolo aderente alla vicenda narrata più che al suo significato di sapore femminista che Glaspell volle poi mettere in luce, fedele alla sua militanza che ne fece, nella prima metà del Novecento (il racconto risale al 1917), una pioniera del femminismo americano. Aspetto, questo, messo in luce sia nella nota introduttiva di Alicia Giménez-Bartlett, che vi vede “un documento sociologico importante per comprendere la ‘questione femminile’ nella storia recente”, sia nella postfazione di Gianfranca Balestra, che vi legge “l’affermazione di una solidarietà femminile” capace di contrapporre “la legge degli uomini, la giustizia delle donne”, trascinando il lettore, e probabilmente le lettrici, soprattutto, “in una disturbante complicità”.
Brescia, 24 giugno 2022
Carlo Simoni
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