L\'arroganza di raccontare una storia Raymond Federman, A tutti gli interessati, Einaudi 2021 (pp. 151, euro 18)
“L’arroganza di raccontare”: fra i vari titoli che l’autore non esita a confessare di aver pensato per questo suo racconto c’è anche questo. Perché la storia di Sarah, bambina che una retata nazista separa dai suoi e sopravvive grazie alla compassione di una prostituta che la nasconde, e di suo cugino, che si salva solo perché si rinchiude in uno sgabuzzino mentre la sua famiglia viene portata via, non è “una storia particolarmente originale. Molti ragazzi e ragazze vennero abbandonati per le strade o nascosti negli sgabuzzini durante la guerra, e molta gente caritatevole, prostitute o suore, si curarono di quei bambini e li trassero in salvo, per cui alla fine tutto risulta banale”. E allora, perché scriverla, ma soprattutto perché leggerla una storia del genere? che cosa la distingue nel mare di racconti e romanzi sulla deportazione? se pure si rivolge a qualcuno, chi sono i destinatari? Se lo domanda l’autore stesso, che con l’ironica disinvoltura che attraversa tutta la narrazione non sa trovare altra risposta che “dire semplicemente che è indirizzata, indecisa e informe com’è, A tutti gli interessati”.
Sono interventi come questo, in cui lo scrittore si scopre senza remore e dichiara l’“arroganza” che raccontare presuppone sempre, a conferire a queste pagine un sapore originale, coinvolgente: il tu cui Federman si rivolge finisce per coincidere con il lettore stesso, chiamato a partecipare all’arbitrarietà delle scelte – di trama, di forma, addirittura di titolazione, come si è visto – che il mestiere di scrivere impone. Fin dall’inizio: “Da dove partire per raccontare l’essenziale senza scivolare nel sentimentalismo mantenendo però il giusto impatto emozionale? Continuo a cercare, per un possibile inizio, un modello già pronto”, ma in un caso suona “troppo lirico per i miei gusti. Troppo melodrammatico”, in un altro appare fuorviante: “C’era una volta, ma neppure quello funziona. Non si tratta di una favola, ma di una storia che mentre viene narrata potrebbe diventare la verità assoluta”.
E in questo gioco di confessioni e ripensamenti, di ripartenze che tornano a riproporre i momenti essenziali nella vicenda dei due protagonisti, accade che questa storia di dolori e sofferenze inferte da uomini ad altri uomini riesca a indignare, a commuovere, a elevarsi – tolstojanamente, si potrebbe azzardare – a riflessione generale sul fatto che “La gente è scagliata dentro la storia suo malgrado” e cercare di raccontarne è inevitabilmente destinato a restare un discorso incompiuto, a risolversi in una presa d’atto che può mettere in conto un’umana pietas, non la pretesa di fornire risarcimenti.
Brescia, 23 aprile 2021
Carlo Simoni
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