Due terzi dei migranti del pianeta sono donne: la storia di una di loro Marco Balzano, Quando tornerò, Einaudi 2021 (pp. 202, euro 18,50)
Il titolo sembra richiamare quello del romanzo precedente, Resto qui*, ma non è così. La vicenda è tutt’altra, ma l’andare e lo stare, il partire e il rimanere tornano a proporsi come alternativa che genera e sta al centro della narrazione. Là si trattava della divisione degli abitanti del Sud Tirolo sotto il fascismo fra “optanti” e “restanti”, fra chi si sentiva di accettare di trasferirsi in Germania con la speranza di farsi una nuova vita e chi invece decideva di restare perché il posto in cui era nato aveva un significato imperdibile, perché – nel caso del protagonista – le strade e le montagne gli appartenevano come lui apparteneva ad esse. Ma anche in Il figlio del figlio, di due anni prima, il perno della narrazione era un viaggio, il viaggio di ritorno al paese del sud di un emigrato, con il figlio e il nipote.
In Quando tornerò l’allontanamento è quello di una donna rumena che lascia marito e due figli per venire in Italia, a Milano, a fare la badante, unico mezzo per racimolare i soldi necessari alla famiglia, della quale il coniuge, beone e inaffidabile come tanti maschi di quelle parti – stando al racconto che probabilmente molti di noi hanno ascoltato da badanti e colf slave – non si sa occupare.
Il racconto risponde a un preciso intento, che l’autore esplicita nella nota finale: “Da trent’anni a questa parte, due terzi dei migranti del pianeta sono donne. Eppure, nonostante questo dato di fatto, si continua a parlare di migrazione come una questione essenzialmente maschile”. Quasi che si potesse ignorare che “L’Occidente (…) va sempre più a caccia di cure e così – se le braccia servono prima di tutto ad accudire gli anziani, i bambini, i malati – si preferiscono braccia di donne”. La genesi del romanzo è però più complessa: il proposito di raccontare la condizione lavorativa ed esistenziale di queste donne – molte delle quali soggette a quello che gli psichiatri dell’est chiamano “Mal d’Italia” (“la depressione che colpisce chi resta per anni lontano da casa e dai figli”) e ricorda la malattia della nostalgia individuata dai medici del Seicento – si complica dopo che l’autore è andato in Romania per visitare le scuole e le comunità per gli “orfani bianchi”, i figli delle donne che vediamo ogni giorno intorno a noi. Perché sono loro, i figli di quelle madri, a costituire “l’ultimo anello della catena”. “Questa constatazione, pure così semplice – parlano molto anche dei figli, non solo dei mariti, le nostre badanti –, non mi ha lasciato scampo: la mia storia doveva avere come protagonisti anche i figli”.
Ed ecco allora che accanto a Daniela, che scappa di casa per venire in Italia senza dire nulla ai familiari, non sentendosi di fare diversamente, compaiono Manuel e la figlia maggiore, Angelica. Il primo votato a un percorso di perdita di sé – la nostalgia non è solo di chi parte, ma anche di chi resta ci ha spiegato Vito Teti*** – e a un tentativo di autoannientamento; la seconda propensa a chiudersi in un’autosufficienza rancorosa. Il punto di vista, e la relativa voce narrante, nella prima parte sono attribuiti al ragazzo, nella terza a sua sorella. Al centro, la parte maggiore è quella che vede protagonista lei, la madre, le sue traversie lavorative, il suo inestinguibile senso di colpa che i ritorni estivi non fanno che rinfocolare, mentre l’incomprensione dei figli diventa un muro. Il racconto dei giorni milanesi si alterna a quello dei giorni e delle notti passati al capezzale di Manuel, in coma dopo una rovinosa caduta.
Un quadro disperato, che poco a poco saprà ricomporsi. Questo è il romanzo.
Si sbaglierebbe a cercarvi l’intensità evocativa, di vicende e paesaggi, che avevamo trovato in Resto qui, e tuttavia merita di essere letto, questo romanzo. Per la sua onestà. Per la limpidezza e la coerenza con la quale l’autore ha saputo tener fede al suo impegno, umano, civile.
*Resto qui, Einaudi 2018, in queste note il 15 aprile 2018
**Il figlio del figlio, Sellerio 2016, in queste note il 9 giugno 2016
***Vito Teti, Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente, Marietti 1820, 2021, in queste note il 4 aprile 2021
Brescia, 7 maggio 2021
Carlo Simoni
www.secondorizzonte.it